giovedì 7 luglio 2011

THAMES RING BY GABRI

THAMES RING 2011-06-29


A volte ci sono frasi che vanno ben oltre il loro semplice significato e quel “very nice this guy” pronunciato da Dick Kean (organizzatore della GUCR) a fine gara mentre mi abbracciava per me ha significato molto, mi ha fatto sentire parte del loro gruppo, del loro modo di intendere l’ultrarunnig e di vivere queste gare.
Non ho esitato un attimo quindi a riprendere seriamente in considerazione l’ipotesi di correre in Inghilterra quando ho saputo che Dick e Anthony (organizzatore della Bridgeway) stavano organizzando una gara da 250 miglia che unisse in un unico anello i sentieri “path” che costeggiavano il Tamigi, il Grand Union Canal e l’Oxford Canal. Per ragioni organizzative la gara si tiene ogni due anni e quindi scartato il 2009 (prima edizione) in quanto ero già iscritto alla GUCR il 2011 era la data giusta per andare a Streatley e tentare l’impresa.
Fatta la giusta pubblicità in Italia all’evento sono riuscito a coinvolgere in quest’avventura una paio di buoni amici. Pasquale Brandi, “il signore dei deserti” e Beppe Scotti, compagno di fatiche e fondatore del Freemind team a cui appartengo “ad onorem”.
Fatta la squadra non rimaneva che preparasi per questo evento ma per me la cosa non è stata così semplice. Un 2010 tiratissimo, un inverno travagliato con forti crisi di volontà, un paio di infortuni… la necessità di ritrovare un equilibrio tra la mia corsa, la mia famigli e il lavoro. Insomma un casino da cui sono riuscito ad uscirne soprattutto grazie alla vicinanza di un vero amico come Matteo.
Durante il periodo di avvicinamento alla gara alle poche mail dell’organizzatore compensavano le molte mail di Pasquale sul tipo di percorso, il cibo ai ristori ecc… Ad un certo punto ho fatto cadere l’attenzione di Pasquale su una delle caratteristiche cruciali della gara: la navigazione. Il percorso infatti non è segnalato, si corre con un roadbook cartaceo e specie per chi va forte come lui, non sempre è così semplice “trovare la retta via”. Da buoni italiani allora ci siamo ingegnati: io ho chiesto i roadbook in anticipo e una volta in possesso del percorso Pasquale ha speso qualche felice serata in googleearth per mappare tutto il percorso, creare dei file .kmz da convertire in .gpx e da caricare sui nostri Garmin Fortrex (quelli con carica a batterie stilo). A video sembrava girare tutto a meraviglia non restava che testare sul campo.
Il meeting point fissato per l’inizio di quest’avventura è stato l’aeroporto di London Stansted. Da li grazie alle info ricavabili da www.travelmidlans.co.uk con un alternanza di treno, metrò, treno si raggiunge la ridente cittadina di Stretley on Thames. Un paesello molto english composto da un piccolo numero di cottage immersi nel verde sulle rive del Tamigi. Ad accoglierci oltre ad un silenzio assordante, un bel temporale…giusto per farci capire che siamo in Inghilterra: La prima serata in terra inglese la passiamo in albergo intenti a litigare con i nostri Garmin e le tracce che non ne volevano sapere di essere caricate. Intanto fuori continuava a piovere…giusto perché continuavamo ad essere in Inghilterra.
Il sole ci sveglia il mattino successivo, ci accorgiamo subito che in questo periodo lì albeggia presto, fatta una sontuosa colazione ne approfittiamo per una sgambata anche e soprattutto per testare il supporto tecnologico “on field”. Gira tutto a meraviglia: Garmin e la mia caviglia sx che non avevo potuto fare a meno di distorcermi il giovedì precedente.
Nel pomeriggio facciamo un giro nel paesello ma oltre a notare che è molto molto english della gara nessuna traccia. Perfino davanti al posto da dove si deve partire non c’è cenno di vita. La cosa stupisce più i miei compagni che me. In Inghilterra è così gli spiego, è gente semplice che vive di passione autentica per la corsa che concepisce in modo essenziale. Non sono per i pasta party e mille altri convenevoli, loro ti danno tutto quello che ti serve per divertirti a correre. “Conoscerete un nuovo modo di organizzare le corse” dico a Pasquale e Beppe e loro la prendono sul ridere. Dopo un ottima cena abbondantemente annaffiata con maltodestrine luppolizzate si va a nanna. Il giorno dopo c’è la gara. Mi sento tranquillo. La presenza di Pasquale ma soprattutto di Beppe mi tranquillizza. Con lui si è deciso di fare gare di coppia e allora ci dilettiamo a fare ipotesi sul tempo con cui Pasquale vincerà la gara. A lui viene uno strano prurito alle parti intime e ci manda a quel paese …tutti uguali ‘sti campioni.
Sveglia di buon ora, abbondante colazione, doccia…cacchette varie... questi sono i miei rituali prima delle gare. Tutto fila liscio. Ci presentiamo alla Morrell Room e lì dove fino alla sera prima non c’era anima viva notiamo una certo fervore. Circa una cinquantina di persone tra atleti e organizzatori intenti nei preparativi pre gara. Il clima è molto informale. I vari concorrenti ci vengono incontro e si presentano. Si scambiano due parole. Con piacere incontro nuovamente Stefan, un ragazzo svedese che era stato mio compagno di stanza nel 2009 a Birmingham. Con lui si attacca subito a parlare di gare e gli chiedo qualche dritta per gareggiare in Svezia… si sa mai in futuro. Ritirato il pettorale e il roadbook e ascoltati i quattro consigli di Dick è già ora di partire. Non c’è tensione nell’aria, il gruppo dei quaranta atleti partenti è evidentemente ben avvezzo a queste avventure e sa benissimo che in un gara così lunga tutto può succedere. Alle 9:00 si parte, destinazione cp1, km da percorrere 45,7. Un’altra caratteristica di questa gara infatti è la distanza tra un cp e l’altro che va da un minino di 38 km a un massimo di 47 km. Tra un cp e l’altro si è in completa autonomia. L’organizzazione fornisce una chiave delle British Waterways che da accesso ai rubinetti con acqua potabile lungo il percorso, vieta l’assistenza ma permette di fermarsi in pub, negozi e quant’altro. Una sorta di autonomia alimentare urbana con la possibilità di provare il brivido di mettersi in coda al pub o al supermercato vestito da trailer.
Decidiamo di dare spettacolo e quindi ci mettiamo in testa alla gara facendo subito il vuoto. Sono i primi km, le gambe girano, la temperatura e mite e quindi ne approfittiamo. Dopo 10 km però alla prima variante strana del percorso (era evidente un super taglio), ci accorgiamo che gli inglesi non sono tanto diversi dal resto degli europei in fatto di furgabte. Noi seguiamo il percorso e il gruppo dietro di noi taglia e ci troviamo dietro senza colpo ferire. Pasquale impreca e mette il turbo per ricoprire lo strappo, io e Beppe lo seguiamo ma io sento che il ritmo è eccessivo per me. Ricuciamo lo strappo ma al successivo errore di percorso sono costretto a salutare Pasquale, lui se ne vola via con il gruppetto di testa, io riduco l’andatura e cerco di recuperare lo sforzo, Beppe si adegua. Se non le si recupera bene le tirate di inizio gara si rischia di pagarle care. Appena riprendo fiato il cielo si apre! Comincia a piovere con l’intensità di un acquazzone estivo ma con la perseveranza delle piogge che durano una giornata. In pochi secondi siamo completamente zuppi, con l’acqua che zampilla dalle scarpe. Per fortuna le previsioni avevano messo “little showers”…a noi sembra un bagno completo. Il paesaggio però mi aiuta a passare questo momento. Si attraversa una zona con molte società di canotaggio e molte imbarcazioni in acqua che si allenano. Mi soffermo a guardarle e la memoria va ai tempi che furono, alle sensazioni di sentire la canoa che scorre leggera sull’acqua…a quasi 20 anni fa porca miseria!
Per fortuna la pioggia cala di intensità e poi smette in prossimità del cp1. arriviamo al cp con un buon vantaggio, ci prendiamo tutto il tempo che vogliamo per cambiarci, asciugarci e mangiare. L’acquazzone però ci ha bagnato per bene i piedi e anche se ora li abbiamo asciugati e messi dentro un paio di calzini asciutti i km fatti sotto l’acqua hanno lasciato i primi segni.
La parte tra il cp1 e il cp2 è la rate più spettacolare del percorso. Si corre su ampi prati di un verde intensissimo e si attraversano la cittadina universitaria di Eaton e i prati antistanti il castello di Winsdor. Uno spettacolo indimenticabile. Anche tra questi due cp la distanza è di oltre 42 km per cui la parola d’ordine è “gestirsi”. Alterniamo corsa a cammino cercando di intensificare la corsa verso la fine del cp. La strategia sembra efficace anche se concordiamo che non è ancora il momento di fare su serio. Fino al cp6 si va di conserva e poi si vedrà. Arriviamo al cp2, primo ristoro che l’organizzazione indicava dotato di cibo caldo. Il menù prevedeva: zuppa di pomodoro tiepida con vermicelli stracotti, carote e piselli; hot dog con ketchup; fagioli in scatola, tortino al formaggio semi congelato, pane con burro e philadephia; Tuc; arachidi; orsetti Haribo; tutta la marmellata del mondo. L’alternativa era non mangiare. Scartata quest’ultima ipotesi e puntato tutto sulle mie noti doti di onnivoro mi divoro quasi tutto. Beppe però non sta bene, lo vedo in crisi profonda, suda freddo, si agita, lo invito alla calma e a fare un punto della situazione dopo 10 min. Per fortuna tutto si è risolto e allora ci siamo preparati per la notte. La notte segna l’avvicinamento a Londra attraverso dei quartieri malfamati per cui l’organizzazione consiglia di viaggiare in gruppo e noi due facciamo squadretta con Stefan e Robert, sudafricano che non tifa rugby ma Spoors… Beppe inorridisce. Passiamo allegramente la nottata tra una battuta, una scorreggia e qualche bel ruttazzo…trailers…tutti uguali. All’alba ci troviamo nella City e ammirata la mostra di macchine di lusso attraversando Syon park di lì a poco siamo sul Grand Union Canal. E’ la parte più brutta del percorso. Il canale è sporco, le case attorno mal tenute, sotto i ponti vivono gli homeless. Mentre passo la scena che vedo è molto raccapricciante. Due ragazzi che si stavano iniettando dell’eroina. Di considerazioni da fare ce ne sarebbero molte ma in quel momento non mi sono sentito migliore di loro, mi sono messo a correre cercando di ignorare quello che ho visto e non credo che sia la cosa migliore da fare. Si dovrebbe poter fare qualcosa per questa gente non limitarsi a spingerli sotto i ponti e ignorarli quando li si vede farsi del male…ma il mondo a volte gira al contrario.
Raggiungo il cp3 con un po’ di vantaggio su Beppe. Mi faccio la mia sontuosa mangiata, controllatine ai piedi (in costante degrado) e pronti via per andare a prendersi il cp4. Il percorso qui si fa noioso. La navigazione non deve essere attenta perché i numeri sui ponti scandisco i cambi di sponda. Per tenermi sveglio allora cerco di parlare con Beppe, di tornare indietro con i ricordi al 2009 quando quel percorso lo avevo fatto al contrario. Il tempo passa e con lui anche i km. Siamo contenti della nostra gara fin lì ma ora Beppe comincia a lamentare dei dolori alla pianta del piedi sx. Come al solito alzo il ritmi a fine cp. Beppe non mi segue. Arrivo, faccio le mie cose, nel mentre Beppe si unisce a me, si toglie scarpa e calzino sx e innocentemente mi chiede “Vedi qualcosa di strano sulla pianta?”. Il mio “Oh cazzo!” è bastato!. Un super vescica che copriva praticamente tutta la pianta del piede sx tallone escluso. Che fare? Per fortuna un ragazzo dell’organizzazione ha avuto il sangue freddo e fatto quello che nessuno avrebbe consigliato. Ha bucato la vescica, fatto uscire tutto il liquido e nastrato per bene la pianta del piede. “Eccezionale!” ha detto Beppe e si è quindi deciso di festeggiare il titolo di “Biggest blister of the day” appena vinto con 20’ di pisolino in tenda.
La medicazione e la dormitina ci hanno rigenerato. Si parte con nuove forze e nuove motivazioni ma presto la benzina e l’entusiasmo cominciano a scarseggiare. Questa volta in crisi ci cado io. Comincio a patire un forte male alle ginocchia. Qualche colpo di sonno. Non vado avanti. Con il calare della notte comincio a sentire freddo. Raggiungo il cp5 in condizioni pietose. Mi fa male ovunque e ho molto freddo. Pianifichiamo al volo un oretta di sonno e mi metto subito in tenda sperando di riprendere calore. Tremo come una foglia. Le cose migliorano leggermente ma non di molto. Mentre mangiamo dopo la dormitina cerco in Beppe un appiglio per il ritiro ma è lui questa volta a salvare la baracca. Lo vedo tranquillo e deciso. Si va avanti. Un ulteriore motivazione ad andare avanti ci viene data dalla notizia del ritiro di Pasquale causa dolore alle ginocchia derivante da vesciche alle piante dei piedi. Dobbiamo mantenere alto l’onore dell’Italia.
I benefici del ristoro durano un oretta e poi è di nuovo un fatto personale tra me e Morfeo. Confido nell’arrivo del carro dorato di Apollo, in una nuova alba, in nuova energia, nella fine dello stato catatonico in cui mi trovo. Puntualmente avviene il miracolo. In anni di gare su ultradistanze continuo a stupirmi degli effetti che fa un raggio di sole. Di come si può passare da vermi striscianti ad arzilli leprotti in una frazione di secondo. E’ il potere del sole e la forza di un nuovo giorno. Zompettiamo quindi allegri verso il cp6, Beppe con il suo piede sx tumefatto io con le mie ginocchia che sopportano sempre di meno i 90 kg a cui sono da anni affezionato. Ogni tanto ci si ferma per dare tregua alle mie articolazioni. Ci guardiamo e ci mettiamo a ridere “Momenti indimenticabili”.
La giornata è incantevole, il sole splende il vento rinfresca l’aria, il cp6 è collocato su un ansa del Grand Union canal coperta da un grande salice piangente. Ci ristoriamo e ci concediamo 10’ di pisolo all’ombra del salice cullati da rumore dell’acqua e di una famigliola di paperotti che sguazzano allegri.
Ora si riparte per il cp7, ora si comincia a fare sul serio, si comincia sentire odore di traguardo. Il tratto tra il cp6 e il cp7 corre in parte sulle sponde del Grand Union Canal e in parte sulle rive dell’Oxford Canal. Per cui una volta superati i due tratti dove il canale si inabissa in un tunnel raggiungiamo la Brauston junction. Qui ci ritroviamo nel bel mezzo di un raduno di houseboat dai mille colori. L’aria è di festa e noi rimaniamo incantati da tutto questo ammassamento di barche. La gente ci saluta amichevole e ci chiede cosa stiamo facendo rimanendo basiti. Poco dopo la junction ci sediamo per dare tregua alle mie ginocchia. Scambiamo due parole con un locals e ripartiamo. Pochi minuti dopo inizia a piovere, ci copriamo subito, la pioggia aumenta di intensità. Questo primo tratto dell’Oxfrod Canal, che psicologicamente significa “giro di boa”, non è molto frequentato. Non ci sono molte barche e di conseguenza il sentiero lungo la riva è particolarmente selvaggio, stretto e infestato di rovi e ortiche. Piove a dirotto, noi corriamo e aumentiamo il ritmo. Sbagliamo strada, neanche il tempo per imprecare e riprendiamo la giusta direzione. Cala la notte e continua a piovere, nel frattempo si è alzato pure un vento fastidioso. Arriviamo al ristoro completamente fradici. Tira un vento gelido e chiediamo subito dove ci si può cambiare al coperto. L’organizzatore ci dice che abbiamo a disposizione solo due gazebo. Io sbotto, prendo la borsa e dico che vado a cambiarmi nel pub vicino al ristoro. Anthony mi fa capire che non era il caso. Poi sbotta Beppe ed è un fiume in piena, vuole fermarsi, si dice stufo delle condizioni in cui ci fa gareggiare l’organizzazione. Cerco di calmare gli animi, mi cambio senza troppe storie e mangio in abbondanza. Diluvia sempre più forte e quindi decidiamo di dormire un oretta. A disposizione abbiamo un bel pulmino. Ci stendiamo sui sedili, ci copriamo con i sacco a pelo mentre fuori si scatena l’uragano. Belli caldi asciutti, distesi e rilassati ci godiamo quest’oretta. La gara la abbiamo vinta lì. Quando abbiamo avuto le palle di uscire da quella tana e andare a sfidare nuovamente gli elementi. Da quel momento in poi da noi e scomparso qualsiasi dubbio sul fatto che saremmo arrivati. Era scritto nel nostro destino…e ce lo avevamo scritto noi.
Ci copriamo bene e finché ha piovuto non abbiamo avuto grossi problemi. Finita la pioggia è iniziata la fase peggiore della gara. Morfeo è venuto a prenderci e per lunghi tratti ci ha portato con se. Colpi di sonno, barcollamenti, sproloqui. Un paio di volte mi sono trovato un po’ troppo a tu per tu con la riva del canale. Siamo poi venuti a sapere che un paio di concorrenti avevano optato per un involontario tuffo…Ancora una volta è il sole e salvarci. Riprendiamo fiducia ed energia e ci rimettiamo pure a correre. Ci aspetta il cp8, il penultimo ristoro. Roba da pelle d’oca.
Raggiungiamo il cp8 verso mezzogiorno, ci rimettiamo in sesto, scambiamo due parole con i volontari che come il solito ci trattano come dei principi e ripartiamo. Ora la distanze tra i cp sono sotto i 40 km per cui ci sembra quasi una passeggiata.
Nel tratto tra cp8 e cp9 si finisce il lato più selvaggio dell’Oxford canal e si passa attraverso Oxford. Si passa proprio attraverso la città. E’ pieno pomeriggio, la cittadina è una meraviglia piena di vita, di giovani che vanno in giro, coppiette che passeggiano, giovani che giocano a cricket o si allenano sul fiume. Ci fermiamo e riposare su un piazzale che poi ci accorgiamo essere il piazzale della “Oxford University rowing center”. Proprio il luogo dove vengono preparate le mitiche sfide con l’università di Cambridge.
Corichiamo lungo gli ultimi metri dell’Oxford canal fino a raggiungere la junction con il Tamigi. Non ci pare vero, siamo in dirittura d’arrivo.
Mentre corriamo lungo un ansa ci supera un padre che sta facendo un giro in bicicletta con la sua bimba. Dopo poco lo incrociamo sulla sponda mentre ammira con la figlia un cigno. Dico a Beppe “Mi viene da piangere”, il suo silenzio riassume di gran lunga su quella che è la nostra situazione. Mariti, padri con la passione per la corsa che vivono nel costante conflitto tra assecondare la passione o seguire la famiglia. Sempre alla ricerca di un equilibrio che però sfugge perché l’asticella si alza sempre… un casino insomma!
Continuiamo a correre allegri stando molto attenti a non perderci. Ci teniamo troppo a finire il prima possibile.
Raggiungiamo il cp9 in condizioni splendide, con il morale alle stelle e una corsa ancora fluida nonostante le 232 migli macinate. Ci riposiamo un attimo e ci si prepara alla ripartenza. Il momento della consegna dell’ultimo roadbook è stato un momento molto emozionante. Era la mappa del tesoro, l’opportunità di raggiungere la meta tanto agognata. Ripartiamo “carichi come boiler” fermamente intenzionati a macinare in men che non si dica le 18 miglia rimanenti. L’entusiasmo e l’oscurità ci portano però a peccare di presunzione e a sbagliare percorso un paio di volte nonostante tutti i supporti tecnologici e cartacei a disposizione. Ci rimettiamo un paio di orette. Gli errori di percorso però ci danno una notevole scarica di adrenalina che ci fanno passare insonne e senza crisi di sonno la quarta notte.
Ritrovato il tanto amato Thames path mancano 12 km all’arrivo, imposto il mio cervello sulla modalità “finisher” e inizio a correre. Ci fumiamo questi ultimi 12 km in un ora e quindici. Non sento più nulla, le ginocchia non fanno più male e i miei piedi volano veloci sull’erba inglese. Beppe mi segue da fido scudiero. Un ultima svolta a destra. L’ultimo cancelletto da aprire. La chiesa e dietro l’angolo una macchina con uno striscione finish buttato sul cofano e un pezzo di cartone con dei nomi scritti. All’arrivo nessuna anima viva. Sono le 4:50 del mattino, dopo qualche attimo esce Dick con gli occhi assonnati, stava evidentemente dormendo, ci consegna le targhette da finisher, ci facciamo delle foto insieme e nel mentre esce Pasquale. Lo abbracciamo con molto piacere. Giusto il tempo di apprendere che non c’era la possibilità di farci una doccia, ci togliamo gli abiti puzzolenti, ce ne mettiamo di asciutti e andiamo a dormire. Siamo felici. E’ tutto fantasticamente essenziale. Ci hanno dato tutto quello che ci serviva per divertirci correndo niente di più niente di meno. Questo è il loro modo di organizzare le gare e non mi resta che dedicarci e dedicargli un “well done” e dare appuntamento al 2013 a tutti coloro che vorranno tentare questa fantastica avventura.

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